DER HIMMEL: tre immagini



quando il bambino era bambino, se ne andava a braccia appese.
voleva che il ruscello fosse un fiume, il fiume un torrente, e questa pozza il mare.
quando il bambino era bambino, non sapeva d’essere un bambino.
per lui tutto aveva un’anima, e tutte le anime erano tutt’uno.
quando il bambino era bambino, su niente aveva un’opinione.
non aveva abitudini. sedeva spesso a gambe incrociate, e di colpo sgusciava via.
aveva un vortice tra i capelli, e non faceva facce da fotografo.
quando il bambino era bambino, era l’epoca di queste domande: perché io sono io, e perché non sei tu? perché sono qui, e perché non sono li? quando é cominciato il tempo, e dove finisce lo spazio? la vita sotto il sole, é forse solo un sogno? non é solo l’apparenza di un mondo davanti a un mondo, quello che vedo, sento e odoro? c’é veramente il male? e gente veramente cattiva?
come può essere che io, che sono io, non c’ero prima di diventare?
e che un giorno io, che sono io, non sarò più quello che sono?
quando il bambino era bambino, per nutrirsi gli bastavano pane e mela, ed é ancora cosí.
quando il bambino era bambino, le bacche gli cadevano in mano, come solo le bacche sanno cadere. ed é ancora cosi.
le noci fresche gli raspavano la lingua, ed é ancora cosi.
a ogni monte, sentiva nostalgia di una montagna ancora più alta, e in ogni città, sentiva nostalgia di una città ancora più grande.
e questo, é ancora cosi.
sulla cima di un albero, prendeva le ciliegie tutto euforico, com’é ancora oggi.
aveva timore davanti ad ogni estraneo, e continua ad averne.
aspettava la prima neve, e continua ad aspettarla.
quando il bambino era bambino, lanciava contro l’albero un bastone, come fosse una lancia.
e ancora continua a vibrare.


(Lied Vom Kindsein — Peter Handke)


   
   
  Roma, primavera 2011


“..l’opera d’arte rappresenta un INTERSTIZIO SOCIALE (….) l’interstizio è uno spazio 
di relazioni umane che, pur inserendosi più o meno armoniosamente e apertamente nel sistema globale, suggerisce ALTRE POSSIBILITA’ di scambio rispetto a quelle in vigore nel sistema stesso”. (Nicolas Bourriaud)

La prima immagine è dall’alto.
Voliamo sopra Roma e osserviamo la città che sembra vuota. Da qui il centro è una grande massa, compatta, scavata nella pietra. Possiamo leggere strade e piazze come incisioni all’interno di un corpo solido.

La seconda immagine è in picchiata.
Scendiamo in basso e all’improvviso appaiono le persone.
Ogni giorno una enorme folla invade le sue strade. Un flusso compatto si muove tra le vecchie strade e i vicoli. Come pesci in una marea , le persone seguono regole non scritte ma precise. Una volta che si è dentro questo flusso conviene seguirne le regole. Il passo prende un ritmo, non troppo lento e non troppo veloce. Dove le strade si stringono i movimenti si riducono e la folla diventa un’unità che ora si ritrae,  ora avanza all’unisono.
Inconsciamente diventiamo parte di un rito collettivo che si ripete uguale da decenni.
Guardiamo avanti, attenti a non urtare nessuno, e ai lati, affascinati dalle vetrine dei negozi. Il nostro sguardo è orizzontale. Siamo in un tunnel. Il cielo scompare. Sguardi, suoni, luci, frasi appena accennate, ci incollano al contingente. Ci muoviamo ordinati , siamo attenti, celebriamo rituali.

La terza immagine è dal basso.
All’improvviso 700 palloncini rossi si sollevano da questa grande massa in movimento. Il tempo si ferma. Gli occhi si alzano. Ora in primo piano c’è il cielo. Non siamo più folla, siamo soli. E’ come entrare all’interno del Pantheon. Qui l’architettura si svincola dalla natura e dal luogo. Solo il cielo conta. La materia non è importante in se stessa. Essa si trasforma in luce, forma e spazio.

DER HIMMEL UBER “ROM

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